I BEDUINI: UNA COMUNITA’ DESTINATA ALL’ESTINZIONE
Dodici delle comunità palestinesi a rischio di espulsione in Cisgiordania vivono nell’area di Khan al-Ahmar, ad est di Gerusalemme. Sparse su entrambi i lati della strada Gerusalemme-Gerico e hanno un totale di circa 1.400 abitanti. I residenti di queste comunità hanno pochissime fonti di reddito rimaste, soffrono di una grave mancanza di servizi sanitari, educativi e assistenziali e vivono senza infrastrutture di base come una rete elettrica, un sistema fognario e strade adeguate.
Una di queste comunità è conosciuta come la comunità della Scuola Khan al-Ahmar. Si trova a circa due chilometri a sud dell’insediamento di Kfar Adumim ed ospita 32 famiglie, per un totale di 173 persone, tra cui 92 bambini e adolescenti. Ha anche una moschea e una scuola. Nelle comunità vicine è stato costruito anche un asilo.
La scuola è stata costruita nel 2009 dalla ONG italiana Terra di Vento, è fatta di fango e pneumatici di gomma, da cui la denominazione “Scuola di gomma”. Serve più di 150 bambini tra i sei e i quindici anni, circa la metà dei quali proviene da comunità vicine. Prima che venisse costruita, i bambini della scuola primaria dovevano frequentare scuole situate lontano, facendo viaggi costosi e rischiosi. L’Italia, il Belgio e l’Unione europea hanno fornito finanziamenti per la sua costruzione e per altri progetti nella comunità, come l’asilo. Nel 2019 è stata chiusa, mentre il 16 gennaio del 2020 è avvenuto un processo durante il quale è stato deciso di chiudere e demolire anche l’asilo.
Per anni Israele ha tentato di allontanare questa comunità palestinese e di poter espandere i propri insediamenti sulle zone da loro abitate; a tal fine, ha reso impossibile la vita dei residenti, sperando di far loro lasciare le proprie case, apparentemente di propria volontà.
Le autorità rifiutano di collegare le loro case all’elettricità o a un sistema fognario, di spianare le strade per loro, impediscono la costruzione di case o strutture per uso pubblico nella comunità e limitano le aree dei loro pascoli. Questa politica costringe i residenti a vivere in condizioni insopportabili, subendo una grave carenza di servizi in materia di salute, istruzione e benessere.
Le strutture della comunità sono state effettivamente costruite senza che ai residenti siano stati rilasciati permessi di costruzione dalle autorità israeliane, poiché la politica di Israele impedisce loro di poter richiedere tali permessi. La conseguenza al costruire comunque senza permessi è la demolizione delle costruzioni stesse. (Dal 2006 al maggio 2018, le autorità hanno demolito 26 case nella comunità, rendendo 132 persone senza casa, 77 delle quali bambini e adolescenti).
I residenti di Khan al-Ahmar hanno presentato diverse petizioni all’Alta Corte di Giustizia di Israele contro il loro trasferimento. Allo stesso tempo, anche gli israeliani provenienti da insediamenti nella zona, hanno presentato petizioni, chiedendo che lo Stato approvasse ordini di demolizione. Tutte le petizioni sono state respinte, e lo Stato ha assicurato al tribunale che sta cercando soluzioni alternative per la comunità e che, in un futuro non ben definito, sarebbe pronto ad avanzare i piani per un nuovo sito in una posizione desertica a sud-ovest di Gerico, a due condizioni. In primo luogo, che i residenti di tre comunità vicine si trasferiscano al nuovo sito, aumentando il numero di persone da espellere a più di 400 – più del doppio del numero originale. In secondo luogo, che tutti i residenti lascino le loro case “consensualmente” e firmino dichiarazioni in tal senso, senza obiezioni.
I palestinesi non mostrano nessuna intenzione di acconsentire al trasferimento, anche perché il sito proposto si trova a poche centinaia di metri di distanza da un impianto di trattamento delle acque reflue, e la costruzione di strade di accesso ad esso comporterebbe l’espropriazione di terre palestinesi.
Inoltre, la richiesta dello Stato di legare l’espulsione di Khan al-Ahmar all’espulsione di altre tre comunità espone l’obiettivo finale dello Stato: rimuovere tutte le comunità palestinesi dall’area che si estende ad est di Gerusalemme e a metà strada verso il fiume Giordano, creando così un insediamento ebraico che dividerebbe la Cisgiordania in due, in linea con il percorso previsto per la Barriera di Separazione.
I palestinesi non possono costruire legalmente e sono esclusi dai meccanismi decisionali che determinano la loro vita. I sistemi di pianificazione sono destinati esclusivamente a beneficio dei coloni.
Se lo Stato dovesse riuscire nel suo intento di rimuovere la comunità di Khan al-Ahmar dalla sua casa per demolirla, o se i residenti non avessero altra scelta che andarsene a causa di condizioni di vita impossibili create dalle autorità, ci si troverebbe di fronte alla violazione del divieto di trasferimento forzato stabilito dal diritto umanitario internazionale: tale violazione costituisce un crimine di guerra. I beduini delle comunità riconosciute non accettano di spostarsi e anzi affermano: “Questo piano per noi è un disastro; lo stato può venire e distruggere case e comunità. Ma noi ci sposteremo solo da morti, saremo seppelliti nella nostra terra!”
da: “Communities facing expulsion: The Khan al-Ahmar area” from B’Tselem. Qui l’articolo completo
LE NOSTRE RIFLESSIONI
“Penso che noi ci lamentiamo tanto, di quello che abbiamo e di quello che non abbiamo, di quelli che vorremmo avere, dove vorremmo essere. Loro invece non hanno niente eppure hanno tutto! Li ho sempre visti felici, soprattutto i bambini, e quei sorrisi ci hanno insegnato tanto! Penso che me li porterò dentro per tutta la vita!”
(Bianca C.)
“Credo che la prima impressione sia stato un misto fra stupore e angoscia per la situazione in cui vivono. Mi ha colpito anche la felicità negli occhi dei bambini nel vedere le suore nonostante ci fossimo li noi.”
(Daniele P.)
“Appena mi sono trovata di fronte al villaggio dei beduini, mi sono meravigliata della forza di volontà che dimostravano quelle persone con il poco che avevano.
Mentre mi avvicinavo sempre di più alla capanna principale, quella del capo tribù, sono riuscita a vedere uno scorcio dell’accampamento. Da quell’ammasso di legno e oggetti recuperati si potevano intravedere dei bambini che ridevano e giocavano con quel poco che avevano, anzi erano orgogliosi di quegli oggetti.
Entrata nella capanna mi sono sentita accolta da quella famiglia, anzi il capo famiglia continuava a ringraziarci di essere andati da loro. La cosa che mi ha colpito di più è stato il suo sguardo, quello di un capo famiglia. Era pieno di rispetto e gratitudine nei nostri confronti anche se non eravamo “persone influenti”.
Più passavo il tempo in quell’accampamento, più rubavano un pezzo di me, mi emozionavano e mi coinvolgevano nella loro storia, nella loro vita. Il sorriso di quelle persone e soprattutto di quei bambini non lo dimenticherò mai perchè per un nostro gesto semplicissimo come un sorriso o un abbraccio loro festeggiavano anzi sembrava che gli avessi fatto il regalo più grande. Invece lo hanno fatto loro a me, con la loro testimonianza e il loro vivere uniti giorno dopo giorno”.
(Elisa S.)
“La mia impressione è stata che la loro felicità e il loro sorriso non glieli avrebbero mai portati via nonostante tutto perché quello che li rende felici sta dentro al loro cuore e non dentro a cose materiali…e poi ripensando con il passare del tempo: nessuno meglio di loro sa cosa vuol dire “sorridere e cantare anche nelle difficoltà”.
(Francesca Z.)
“Quando si sente parlare dei beduini, la gente pensa a gruppi di persone selvagge e barbariche, ma io posso negarlo. I beduini sono tutt’altro, persone che non hanno un posto dove potersi stanziare e vivere in tranquillità. Non hanno una casa di mattoni, vivono a malapena di bestiame e inoltre sono controllati 24/7.
Nonostante le loro condizioni disumane ci hanno accolto con un sorriso luminoso e ci hanno raccontato la loro storia. Dovremmo imparare da loro a sorridere alla vita e ad apprezzare ciò che abbiamo”.
(Elisa G.)
“Sono rimasto un po’ stupito perché loro ci hanno offerto l’unica cosa da mangiare che avevano per quel giorno, saltando quindi il loro pranzo. Penso che il fatto che siano sempre controllati sia molto ingiusto!”
(John F.)
“Tanta tanta emozione nel vedere così tanta felicità e bontà nei loro sguardi e nei sorrisi!”
(Rachele B.)
“A primo impatto la realtà dei beduini mi è sembrata affascinante e mi ha molto attirato il loro stile di vita basato sull’essenzialità, nonostante questo sia in parte dovuto alla consistente povertà in cui vivono.
Dopo aver sentito la loro storia però mi sono reso conto che la loro situazione è la perfetta descrizione di quella che si definisce “una causa persa” e che, nonostante tutti i loro sforzi e tutta la loro volontà, sono ormai destinati a perdere tutto, passando tra l’altro inosservati dal resto del mondo (compresi noi purtroppo).
In particolare, colpisce la spensieratezza e la disinvolta felicità dei bambini, che vivono la loro infanzia senza rendersi conto della triste condizione in cui vivono e in cui vivranno.”
(Giosuè B.)
“All’inizio pensavo fossero un popolo nomade, pensavo abitassero nelle tende, ma poi, vedendo il loro piccolo “villaggio” mi sono un po’ stupito ma anche rattristato per le condizioni in cui vivono!”
(Luca B.)
“Casa, questa è la prima parola che mi permetto di usare per descrivere il popolo antico, speciale e unico dei beduini. Come siamo arrivati da loro ci hanno fatto sentire parte della comunità, ci hanno offerto il loro unico pasto della giornata, il pranzo, e ci hanno permesso di conoscere una cultura completamente diversa dalla nostra.
Ogni persona all’interno di questo popolo mi ha fatto aprire gli occhi.
Il capo del villaggio, come un maestro, ci ha spiegato e mostrato ciò che è il popolo beduino: famiglia, amore, perdono, comunità.
I bambini, con le loro biciclette sgangherate ci hanno insegnato che le cose più importanti sono l’immaginazione e la speranza, l’immaginazione per potersi distrarre dalla guerra in cui sono coinvolti e la speranza per poter credere in un mondo migliore, in un mondo che possa permettergli di esprimersi per ciò che sono e diventare ciò che vogliono senza alcun limite.
Le madri ci hanno mostrato la pazienza, la tenerezza e la caparbietà nel gestire bambini tanto piccoli nonostante tutto.
Le suore ci hanno fatto capire che l’impossibile è solo il possibile che non è stato ancora realizzato e, credendo in ciò che si fa e non smettendo mai di lottare, si può ottenere ciò che si vuole”.
(Michele C.)
“Quel luogo era un po’ particolare, molto semplice ma dentro quasi accogliente.
Bello vedere anche come si sono adattati a tutti gli ostacoli che gli sono stati messi davanti!”
(Luca R.)
“Penso che andare dai beduini sia stata una bella esperienza, ho capito le condizioni in cui vivevano e cosa erano costretti a passare tutti i giorni e sono rimasto sconvolto. Anche perchè non avevano niente, eppure ci hanno accolti e serviti come se fossimo dei loro amici.
È stato incredibile vedere la loro felicità e la loro voglia di vivere, nonostante la povertà e il male che hanno patito, inoltre, penso che il sorriso dei bambini, sia una delle immagini più belle di tutto il campo”.
(Nicola P.)
“Entrando nel villaggio dei beduini mi sono accorto di una cosa che mi ha colpito profondamente, il sorriso dei bambini.
È stato fantastico vedere come in tanta povertà e degrado loro possano essere così contenti mentre noi, che abbiamo tutto, riusciamo ad essere tristi o arrabbiati per delle cose veramente insignificanti.”
(Stefano C.)
Non basta essere fortunati. Bisogna anche avere la fortuna di rendersene conto.